La storia del tappeto

Premessa

Per conoscere il tappeto annodato è necessario esaminare le tecniche adoperate sia dai nomadi sia nelle fabbriche. Le fonti tramandate non forniscono al riguardo esaurienti informazioni; Eschilo, ad esempio, trasmette interessanti notizie sui tappeti, ma quasi nulla sulle tecniche usate; si sofferma sul valore commerciale, informandoci che con un chilo di argento si pagava  ogni chilo di tappeto.
Si ricorda che un metro quadrato aveva il peso di quattro o cinque chili. Metello Scipione cita i tappeti di Babilonia; i più piccoli, usati soltanto per coprire tavoli, avevano un costo che oggi corrisponderebbe a milioni di lire. Nerone per un esemplare avrebbe corrisposto cifre enormi. Non si ha tuttavia alcuna prova dell’esistenza di tappeti annodati; presumibilmente si tratta soltanto di tappeti tessuti.
Si tenga presente comunque che non è corretto attribuire valore assoluto al tipo e al numero dei nodi nella considerazione del manufatto. Come in ogni altro caso, bisogna stimare tutti gli elementi che concorrono alla sua realizzazione quali la materia, il cromatismo, il disegno, il simbolismo. Inoltre è richiesta una conoscenza storica dell’ambiente e della cultura coevi alla singola opera ed esperienza nella valutazione di linea, colore, timbro, masse, superfici e di concetti quali misura, proporzione.

Le tecniche

Nella fattura del tappeto concorrono la materia prima, i colori, i telai, la tessitura,l’annodatura, il disegno e il lavaggio. I procedimenti possono essere vari, in relazione all’ esecuzione effettuata dai nomadi, nei laboratori di corte o nelle fabbriche, a carattere familiare o aziendale, da piccoli e grossi centri di produzione.

Il materiale

I materiali impiegati per i tappeti orientali sono la lana (di pecora, di capra e di cammello) la seta, il cotone, il lino e talvolta la canapa e la juta. In qualche caso troviamo anche fili di metallo. La lana resta la materia più usata è un prodotto locale di quelle vaste zone dell’Oriente, soprattutto delle alture iraniane, turche e dell’Asia centrale, dove le enormi quantità di pecore al pascolo, di capre, e, in minor numero, di cammelli, sono ingenti.
La qualità della lana varia a seconda del tipo di animale e della parte del corpo (pancia, spalla, dorso, zampa) dalla quale si ottiene, ed è determinata da morbidezza, da lunghezza ed elasticità del pelo. Un nutrimento corretto favorisce un vello ricco e morbido e la vegetazione più o meno ricca di cespugli del pascolo fa sì che la fibra si mantenga pulita ed elastica, grazie al massaggio degli arbusti sul corpo.

Migliore è la lana degli animali nei primi cinque anni di vita. La peggiore (“tabacchi”), è la lana di animali morti stopposa e ruvida. Tra le lane più pregiate si ricordano quelle prodotte dai nomadi Afshary, Baktiari e Kashkay (Persia meridionale e centrale), l’ottima ma scarsa produzione di Kirman; le lane del Khorassan, che con quelle dei nomadi Baluchi costituiscono il grosso della produzione persiana; le lane della Persia occidentale, superiori qualitativamente anche alle precedenti (lane dei nomadi Lor e Kurdi che affluiscono sul mercato di Kermanshah); le splendide lane delle pecore Carci, con le quali si fabbricano i tappeti dell’Asia centrale, specialmente i Tekke-Bukhara; quelle di Maku, di Sardar, di Ardebil e di Talisch impiegate nei tappeti di Tabriz; il tipo del Khorassan che va sotto il nome di Kurk, lana morbida ottenuta non con la tosa – che di solito si effettua in primavera – ma pettinando il vello invernale delle pecore e delle capre.

Molto particolare è la lana che si ricava dalla razza di capre dal pelo lungo e bianco che si alleva nel territorio del Kirman e anche dalla grassa pecora, della stessa zona, che ha la caratteristica di avere spalle e coda grosse per eccesso di adiposità e che produce lana lucida dalla fibra resistente. La lana proveniente dalla Persia settentrionale è invece molto dura.
La lana di cammello viene molto usata nella regione Hamadan, da sola o combinata con quella di pecora e di capra. Quest’ultima combinazione viene adottata anche nelle produzioni del Turkestan e dell ‘Afghanistan. Le popolazioni nomadi utilizzano in maggior misura la lana di pecora che viene usata non soltanto per l’annodatura, ma anche per i fili dell’ordito e della trama. L’ uso della sola lana però provoca l’ arrotolamento ai bordi del tappeto e ondulazioni nel corpo. Si impiega il perciò anche il cotone in fili ben ritorti nonchè, ma in misura più ridotta, il lino, la canapa e la iuta.
La seta è prevalentemente impiegata in tappeti di lusso a causa dell ‘alto costo del filato e per l’elevato nurnero di nodi che richiede. La seta è frequente nella produzione Indiana e, in passato, era usata in Persia nel periodo dello Scià Abbas il Grande (tra il 1500 e il 1600).

La lana, una volta tosata, va cardata e filata: presso le tribù nomadi ancora con il procedimento a mano, che conserva le fibre integre e lunghe,elastiche e resistenti, anche se i fili hanno una grossezza irregolare; con la filatura a macchina, che, pur abbreviando i tempi rendendo costante il passo del filo, ha però ridotto la qualità e il pregio.

La tintura

Gli uomini sono addetti alla tintura, procedimento piuttosto faticoso. I toni sono profondi e tenui, ma sempre caldi e delicati. I nomadi utilizzano tinte vegetali ed animali: i procedimenti chimici possono alterare la qualità dei colori e la durata della lana. E’ poco probabile che si riesca a creare un tappeto uguale ad un altro, pur se dello stesso tipo. Soltanto nel periodo safawide sembra accertato che taluni esemplari nascessero a coppia. Le tecniche di colorazione non sono tutte note; il colore può avere diversa tonalità in relazione ai diversi tipi di lana, all’acqua che si adopera, alle miscele, ai tempi d’immersione; secondo il colorante impiegato, il tempo di immersione delle lane può variare da poche ore a parecchi giorni.

Il materiale viene in primo luogo lavato e sgrassato in acqua bollente e qualche detergente; nella tintura si usa inserire attualmente un mordente. I colori naturali sono di origine vegetale, animale, minerale e le tecniche spesso sono il frutto di una tradizione che viene trasmessa da padre in figlio.
II rosso proviene dall’ebollizione della cocciniglia, un insetto la cui femmina contiene un pigmento carminio; un altro tono, tendente al viola, si ricava dalla robbia (rubia tinctorum) che è una pianta della famiglia delle rubiacee.
Il blu, in toni diversi, si ricava specialmente dall’indaco, nonchè da varie specie di funghi e da alcune essenze legnose macinate.
Il giallo è un colore che viene dallo zafferano che, se è selvatico, tende al rossastro, oppure dalla radice di curcuma (curcuma rotunda) e da un arbusto detto anatto (bixa orellana), nonchè dalle foglie della vite e del melograno.
Il nero è un colore, poco usato perchè, a parte certe sostanze tanniche (come quelle contenute nella corteccia di quercia) di non facile estrazione, esso si ottiene con l’ossido di ferro al quale si è fatto ricorso sempre poco, perchè con il tempo questo prodotto minerale inaridisce la fibra e la rovina.

Tra i prodotti minerali va ricordata anche l’ocra, già nota fin dal Paleolitico per tatuaggi e sepolture. E’ una varietà terrosa dell’ematite (ocra rossa) o della limonite (ocra gialla). Alcune tinte, come il bianco, il grigio e il marrone, sono quelle naturali delle lane.
Le tinture all’anilina

Nella seconda metà dell’Ottocento, provenienti dall’Europa, giunsero in Oriente i primi coloranti ad anilina. I colori ad anilina ebbero effetti negativi sul tappeto, e nel 1903 ne vennero proibiti, in Persia, l’importazione e l’uso; ciò nonostante, dopo la prima guerra mondiale, questa sostanza divenne ugualmente di largo consumo in quei paesi.

Con il progresso delle tecniche, anche tra i coloranti sintetici si sono ottenuti prodotti di qualità, ma le antiche caratteristiche restano tipiche dei coloranti naturali. Dopo la tintura, il materiale viene asciugato al sole.

II colore come simbolo

Per larghe zone dell’Oriente il bianco è simbolo di dolore: il suo inserimento poteva quindi avere un significato che andava al di là del valore compositivo. Il verde, nel mondo islamico, ha un senso di sacralità: verde era il colore del mantello del profeta; il suo uso non ponderato rappresenterebbe sfida e profanazione. In Mongolia il rosso indica la ricchezza e la gioia. In Cina, il giallo era il colore dell’imperatore; l’arancione rappresenta la devozione e la pietà.

Gli abrash

I passaggi di tono nello stesso colore, che poi emergono in fasce orizzontali, vengono detti “abrash” e, in gergo mercantile, “bruciature”. Se sono spontanei e non artefatti essi attestano l’autenticità della lavorazione nomade e rappresentano un ulteriore valore.

II fenomeno, dovuto al cambiamento del gomitolo o della matassina di lana in corso di lavorazione, dipende da cause diverse: il momento e il metodo del lavaggio della lana, la filatura artigianale che rende la grossezza del filo non sempre costante, il periodo stagionale in cui il filo stesso viene utilizzato poichè la sua stessa matassina, col tempo, può subire alterazioni.
Nelle manifatture a carattere industriale, dove le filature e le colorazioni sono effettuate con mezzi tecnici più progrediti e per grandi partite di lana, il tono del colore risulta più omogeneo. In questi casi è l’ ”abrash” dovuto ad incuria di qualche lavorante nell’impiego della giusta matassina.Talvolta l’artefice prevede l'”abrash” come componente del disegno e del colore: se giustamente inserito, l'”abrash” può conferire una particolare caratteristica al tappeto ammorbidendo e attenuando dei tratti, con ciò accrescendone il pregio e l’interesse.

I telai

Sono ancora sconosciuti i luoghi in cui è stato creato il fuso, e il luogo d’origine del telaio. Nel mondo nomade esso non è molto cambiato ed anche le tecniche per la tessitura sono rimaste pressochè immutate.II telaio dei nomadi si compone di due assi orizzontali e parallele sostenute da pali infissi nel terreno. E’ di piccole dimensioni per aderire alle esigenze di mobilità. I tappeti che ne derivano sono, generalmente, di formato rettangolare ed allungato e di limitate proporzioni.

II telaio delle manifatture è più perfezionato, è verticale e si compone di due travi o due cilindri (subbi) disposti orizzontalmente, l’uno in alto, l’altro in basso, collegati da assi verticali. II telaio a travi orizzontali è, tra quelli fissi, il più grezzo. Già più evoluto è quello le cui travi sono regolabili al fine di consentire la tessitura del tappeto a diversa lunghezza.
II telaio tipo “Tabriz” ha, al posto delle travi, due rulli, uno in alto l’altro in basso, attorno ai quali si stendono per intero i fili dell’ordito. L’annodatura si inizia dal basso e, a mano a mano che il lavoro procede, il tappeto già tessuto si tira verso il basso per farlo poi ruotare dall’interno verso l’esterno attorno al rullo inferiore e così via finchè non raggiunge la parte alta per ruotare attorno al subbio superiore e tornare verso 1’interno fino alla conclusione del tappeto: con questo tipo di telaio il tappeto non può superare una data lunghezza. Un terzo tipo, a subbi rotanti, consente di costruire tappeti della lunghezza che si desidera ottenere. Esso consta di un subbio superiore girevole attorno al quale si avvolgono i fili dell’ordito ed un subbio inferiore, sempre girevole, di diametro più piccolo, attorno al quale si avvolge la parte di tappeto progressivamente realizzata, fino al raggiungimento della lunghezza prefissata. Con questo tipo di telaio si può costruire il tappeto della lunghezza che si vuole; tutto dipende dalla quantità di orditura che si è avvolta attorno al subbio superiore.

La lavorazione: ordito e trama

I fili tesi dal basso verso l’alto costituiscono I’ ordito (o catena) del manufatto. Tra di essi corrono, in linea orizzontale, i fili della trama. I fili dell’ordito sono tesi uniformemente a distanze regolari. Sono generalmente di materiale grezzo, non tinto, mentre la lana (ed in certi casi la seta) viene adoperata per l’annodatura. Per la solidità e la compattezza dell’armatura viene impiegato il cotone per ordito e trama, di costo accessibile e viene prodotto industrialmente.
Molte tribù nomadi utilizzano ancora oggi, anche per l’ordito e la trama, fili di lana normalmente lasciati al colore naturale. I tappeti antichi erano, di solito, interamente lavorati in lana.

La cimosa

II lavoro sul telaio inizia dal basso con tre o quattro centimetri di tessuto, come una striscia di tela, che si chiama cimosa. Essa viene realizzata avvolgendo strettamente i fili della trama, o altri fili supplementari, attorno alle estremità dei fili dell’ordito. La durata e la buona conservazione del tappeto dipendono proprio dalla robustezza della cimosa, il cui colore è di regola bianco quando l’orditura è in cotone, al naturale quando l’ordito è in lana. Anche a destra e a sinistra si lasciano liberi da nodi alcuni fili dell’ordito perchè su di essi si rinsaldano, poi, le cimose laterali.

Le frange

Abitualmente, al di sotto della prima cimosa e al di sopra della seconda, si lasciano liberi, ad una certa lunghezza,  fili di ordito che rappresentano le frange del tappeto, che hanno uno scopo prevalentemente ornamentale.

I nodi

L’annodatura viene eseguita con la lana (salvo le eccezioni in seta e qualche punto in cotone) del colore richiesto dal disegno. Dopo ogni fila di nodi si lasciano, sempre in linea orizzontale, due o piu fili di trama (di solito uno ben teso e un altro allentato), che vengono fortemente compressi contro i nodi con un pettine di legno o a lamine di metallo, per conferire al tappeto  compattezza e resistenza.

I nodi si legano sui fili dell’ordito. Effettuato il nodo, il pelo si tira verso il basso in modo da dare il “verso” al tappeto, che acquisterà aspetto diverso in relazione all’angolo visuale dal quale lo si osserverà.

II ghiordes e il senneh

Il ghiordes – conosciuto anche come nodo turco- che prende il nome da un noto centro di produzione  in Turchia a sud-est di Smirne, e quello senneh (da una località del Kurdistan), detto anche nodo persiano, sono i tipi più utilizzati.

Iuft Umeh o nodo doppio

Un procedimento che viene detto iuft Umeh (nodo doppio), si basa sul coinvolgimento nel manufatto di quattro fili per volta anzichè due, con una riduzione di resistenza del tappeto.
Il nodo doppio viene adottato allo scopo di risparmiare tempo e materiale, ma ciò avviene dichiaratamente nella piena consapevolezza degli effetti riduttivi di pregio che possono derivarne.

II nodo spagnolo

Altro tipo di nodo è il cosiddetto nodo “spagnolo” adottato in un certo periodo in Spagna, praticato su un solo filo di ordito: consisteva in un vero e proprio nodo a cappio .

II nodo a groppetti o ad avvolgimento

Un tipo di nodo particolare è il cosiddetto nodo “a groppetti”, che, più che un nodo, è un tipo di tessitura i cui effetti sono analoghi a quelli dll’annodatura.

I profughi tibetani del Nepal se ne servono ancora oggi, avvolgendo i riccioli formati su una bacchetta munita di lama alla sua estremità. Alla fine di ogni riga la bacchetta è ritirata e i riccioli si trovano tagliati tutti insieme.

II tappeto non annodato: il kilim

I Kilim, i Palas, i Sumak, i Sile, i Verne. Si fabbricano nelle più varie zone, prevalentemente in Turchia, Persia e Caucaso e risultano da una particolare tecnica di tessitura senza annodatura. II Kilim, ad esempio, è un tappeto reso morbido e ricercato dalla particolare tessitura: è meno indicato per essere calpestato perchè risulta più sottile e, quindi, più deperibile del tappeto annodato ed è abitualmente adottato come tenda o come copertura. II disegno non risulta dai nodi, ma da fili colorati che avvolgono i fili dell’ordito soltanto in quella zona dove il disegno deve emergere; esso ha la caratteristica di avere due diritti, non un diritto e un rovescio.

La cosiddetta “tessitura polacca”

Si credeva che nella prima metà del secolo XVII, una serie di tappeti fosse stata prodotta in Polonia. E’ stato poi accertato che vennero detti “polacchi” per altro motivo.

La caratteristica di quella serie consisteva nel fatto che su tessitura di cotone e seta vennero eseguite decorazioni emergenti, con nodo persiano, su fondo monocromo lavorato in broccato con fili d’oro e d’argento.

Nel 1900 il centro di produzione di Kashan ha ripreso questo tipo di manufatto.

Gli strumenti

Gli strumenti che vengono adoperati sono rimasti pochi e semplici:

  • La lama: è un coltello diritto o ricurvo che occorre per tagliare i fili.
  • Il pettine: può essere di legno, con manico di legno e denti di ferro, o tutto di ferro, ed è usato per serrare di volta in volta la trama contro i nodi e dare compattezza al manufatto.
  • Le forbici: sono di varia lunghezza e robuste, talune piatte altre ricurve, adoperate per la rasatura.

La rasatura

E’ un’operazione che può aver luogo dopo una o più file di nodi, o  a fine giornata o dopo ogni settimana; talvolta anche tutta al termine della lavorazione. Se prodotto in fabbrica il tappeto ultimato riceve sempre una definitiva rasatura.

Quanto più è elevato il numero dei nodi, più bassa, di solito, è la rasatura (non più di mezzo centimetro).  II pelo più lungo (anche più di due centimetri) si lascia, di solito, nei tappeti meno pregiati proprio per coprire un’annodatura meno fitta e serrata.

Le fabbriche cercano di assecondare il gusto del committente: quando la committenza era inglese, il tappeto veniva rasato a pelo molto corto. L’acquirente americano ha portato, invece, ad un allungamento del pelo.

La rasatura sul tappeto cinese non è omogenea, ma vien fatta in modo che il disegno, lasciato con pelo più lungo, risulti in rilievo sul fondo piu rasato ed acquisti maggiore risalto.

II disegno

II disegno ha un  ruolo importante nel tappeto anche per la simbologia che ad esso si collega. Il significato è oggi in parte dimenticato dalle stesse tribù nomadi che ne ripetono i motivi con fini solo ornamentali.
Adesso i disegni da trasferire nel tappeto vengono preparati, nelle manifatture, su un foglio quadrettato detto “cartone”, sul quale ogni quadretto rappresenta un nodo. Le tribù nomadi, invece, non seguono uno schema,  ma si lasciano guidare da composizioni note al tessitore per antica tradizione.

Anticamente l’annodatura, nel tappeto nomade, veniva condotta dall’uomo più anziano, che assumeva la funzione di “lettore” . I nodi venivano “chiamati” con il rispettivo colore.  Ancora oggi  le procedure sono  le stesse. Talvolta si prende a modello e si ripete più volte in un tappeto più grande un tappetino tipo, che prende il nome di “Waghireh” ed è caratterizzato dall’essere decorato con unico motivo.
Nelle manifatture di più intensa produzione, lo schema della composizione, progettato dal calligrafo o dal miniaturista, viene trasportato dal disegnatore sul cartone quadrettato che può essere a colori o in bianco e nero; nel secondo caso le tonalità da usare vengono indicate con numeri. Quando alla realizzazione dello stesso disegno collaborano piu tessitori contemporaneamente, il cartone può essere diviso in strisce in modo che ogni lavorante disponga del proprio modello.

Nelle fabbriche a carattere familiare sono addette all’annodatura quasi esclusivamente le donne. La più esperta occupa il posto a sinistra di fronte al telaio e fa da conduttrice. Alla sua destra siedono altre lavoranti. Le parti del tappeto in lavorazione non sono però divise in misura uguale, ma dipendono dal rendimento di ciascuna. Quando un’operaia lavora la sua parte si incontra in un dato punto con il tratto della vicina cosicchè sul tappeto ultimato si formano delle linee verticali che indicano sottilissime giunture.
In alcune province esiste un apposito libro, detto “Talim”, che contiene la descrizione di vari tipi di tappeti: scelto il manufatto che si intende produrre, il Talim viene affidato ad un conduttore che non ha più bisogno del cartone disegnato.

Il lavoro cui vengono quotidianamente addetti gli annodatori è molto duro e  c’è il rischio di contrarre  una particolare malattia polmonare derivante dal pulviscolo che si libera dalla lana.

II lavaggio

il lavaggio prevede almeno una giornata e molta acqua; è eseguito dagli uomini e contribuisce a rendere vivaci le tinte.
Anticamente non si eseguiva il lavaggio; l’affinamento del manufatto era affidato ai passanti: si stendeva sulle strade e sulle piazze perchè venisse calpestato; poi veniva battuto e pulito con miscele di acqua e aceto e, sotto la pressione di alcuni pesi, veniva trascinato da animali da tiro sull’erba.